Il secondo "progetto":1977,
il futuribile I Robot

a cura di Dario Pompili

 

La realizzazione del nuovo album, "I Robot", fece convergere su Alan e soci nuove e più efficaci forze. La critica italiana del periodo sembra recepire valenze provenienti dal mondo degli addetti ai lavori che avevano già promosso da tempo "Tales..." come prodotto altamente raffinato ed innovativo.

Con "I Robot" arriva, dopo il solo consenso-approvazione dei tecnici, un ampio successo commerciale, ovvero sembrano camminare parallele le strade dell'audience pubblica e della critica squisitamente tecnica. I Robot, album dal profilo indiscutibilmente futuristico, ottiene grandi fasti in America ed in nord Europa, dove il fenomeno Parsons è a tutt'oggi solido, molto meno in Italia, dove la distribuzione musicale, al solito distratta, continuava a preoccuparsi di vivere delle glorie sanremesi.

"Poichè Poe è considerato il padre della fantascienza, ci sembrò abbastanza logico addentrarci in questo mondo per l'album seguente": è Parsons che parla, e stavolta la critica segue attenta la logica stringente di Alan, che realmente ha una spiegazione per tutto; sembra inverosimile, eppure ogni elemento che compone un prodotto parsoniano è sul serio un tassello che trova la sua giustificazione nel mosaico finale.

Il brano "I Wouldn't Want To Be Like You", così come lo stesso Parsons scrive, è un messaggio dell'uomo alla macchina, di invidia celata, in quanto il robot, differentemente dall'uomo, oltre ad eseguire con perfezione il compito assegnatogli, è incapace di concepire il male, e questo lo eleva a successore ideale di una società corrotta.

Criticato come brano eccessivamente "funky", Parsons ribatte che esso rappresenta la dimostrazione di come non sia possibile accettare il compromesso di comporre brani di tre minuti per un compositore classico; ecco la verità di fondo: Parsons è un compositore classico, e lo dimostra con gli immancabili stacchi sinfonici delle sue opere, ma lavora nel 20° secolo. Il Debussy del 2000, macchina del tempo permettendo...

La critica finalmente riconosce la grande caratteristica del Project, ovvero gli arrangiamenti classici che sposano la tecnologia musicale più aggressiva ed avanzata, come trademark di Parsons e soci.

L'album segna un salto nel tempo rispetto al precedente, passando dal grottesco al futuribile, al solito grazie alla freschezza ed agilità compositiva parsoniana. La copertina raffigura sullo sfondo uno spaccato dell' aereoporto Charles de Gaulle parigino con alcune persone al suo interno, costruzione innovativa ancora oggi, mentre in primo piano c'è il disegno di una testa di un robot, il cui involucro è trasparente, e lascia intravedere, curiosamente, non le componenti meccaniche od elettriche, bensì la raffigurazione di un atomo e del suo nucleo (Nucleus è il titolo di una strumentale contenuta nel disco). Un'interpretazione alquanto corretta e non eccessivamente forzata della copertina, potrebbe suggerire l'idea di una emancipazione del robot, preso a parametro dell'innovazione tecnologica, a fronte delle figure umane che appaiono sullo sfondo, ignare e sorridenti, ma in realtà prigioniere della struttura da loro stessi creata: in più la figura del robot, con il suo gigantesco atomo al posto dei più verosimili componenti elettronici, suggerisce l'idea di un soggetto evoluto, che possiede allo stesso tempo tecnologia e cervello. Curioso, poi notare che l'album, apribile, mostra all'interno un primo piano di Parsons, della stessa grandezza del robot di copertina, quasi a suggerire una sovrapposizione delle due figure: Parsons è il robot della copertina? D'altronde il titolo del lavoro è I Robot, e la passione per l'elettronica del compositore è cosa nota...

Come sempre c'è molto da imparare dai simbolismi suggeriti dalle copertine di Parsons, e la lettura ed interpretazione di questi ultimi sono un necessario viatico verso l'ascolto dei brani: ogni cosa trova un senso ed una sua collocazione, c'è sempre in filo che lega le composizioni, ma la via da seguire è una sola e Parsons sfida con maestria l'intelligenza dei suoi ascoltatori.

Tornando alla critica italiana del periodo, questa sottolinea il forte legame dell'opera con alcune produzioni cinematografiche del periodo, come Guerre Stellari, dimenticando che l'opera di Parsons è antecedente all'uscita della pellicola, quantomeno per quanto riguarda il lavoro di produzione. Parsons afferma il suo interesse per le letture fantascientifiche, coltivate da tempo, e che lo hanno portato a realizzare un concept album che sfruttasse tutta la sua abilità di innovatore.

L'atteso successo commerciale del disco affianca Parsons ad autori come Wakeman e Vangelis, che lui stesso cita come compositori, i quali, ad onor del vero, non erano in linea con la moda musicale fine anni settanta, ma già riscuotevano grandi successi, riuscendo ad assemblare consensi e critica e scavandosi una nicchia di celebrità; così Parsons comincia ad avvicinarsi al mondo della musica tecnicamente elevata ma di successo, cosa purtroppo verificatasi solo oltreoceano.

Grande importanza viene data al fatto che con I Robot Parsons era intenzionato a realizzare una propria pellicola: stando a ciò che mi è capitato di leggere riguardo i primi periodi dell'Alan Parsons Project, ho notato la vera e propria "esigenza" di Alan per affiancare una realizzazione visiva delle sue opere musicali, non granchè condivisa da Eric Woolfson: considerando l'eccellente LadyHawke del 1984, non oso neanche espormi a fronte di un film dal titolo I Robot, forse una perla che nessuno di noi è mai riuscito a vedere, perchè mai realizzata.