Alan
Parsons scoprì che anche la tecnologia può essere
creativa ascoltando "Dark Side Of The Moon" dei Pink
Floyd. (Era qualcosa che non aveva precedenti, più di
un comune progresso nel campo della tecnica d'incisione), ricorda
il musicista. Fu proprio Parsons che curò i mixaggi di
quello storico album e, da allora, i suoi progetti si realizzano
uno dopo l'altro.
Progetto
cosa? Alan Parsons Project signore. Parsons, Parsons. Mmm....
Oh no, Signore Questo è il tizio che ha realizzato Dark
Side Of The Moon... Ah, uno dei Pink Floyd! Veramente no, come
tecnico del suono ne ha curato incisione e ha collaborato con
i Beatles alla fine degli anni '60 e più tardi con McCartney;
in seguito ha prodotto gli Hollies, John Miles (Music) Al Stewart
(Year Of The Cat,Time Passages) e altri ancora. Capisco. E quell'altro
barbuto laggiù?.... Eric Woolfson, signore: paroliere,
autore, uomo d'affari, pensatore a briglia sciolta. Socio al
50% del Project. OK, fateli passare.
GH:
"Alan, qual'è la tua formazione musicale e come hai
sviluppato la tua passione per l'elettronica?"
AP: "Vengo da una famiglia di musicisti e fin da piccolo
i miei genitori avevano voluto che io studiassi pianoforte (cosa
che ho fatto sino all'età di tredici anni) e flauto, ma
non mi interessava molto. Passai poi alla chitarra e finalmente
mi parve che valesse la pena d'applicarmi davvero allo strumento.
Tecnologia e elettronica mi hanno appassionato sin da piccolo.
A nove-dieci anni, già costruivo ogni sorta di diavolerie
e avevo addirittura un mio sistema telefonico privato in ogni
stanza! Il mio primo impiego, terminati gli studi, fu proprio
di carattere tecnico, alla EMI di Hayes. In seguito mi venne
in mente di fondere la mia passione per la tecnologia con quella
per la musica. Esordii allora come tecnico del suono."
GH:
"Quando capisti che anche la tecnologia avrebbe potuto essere
creativa"?
AP: Lo capii mentre registravamo Dark Side Of The Moon coi Pink
Floyd: era qualcosa davvero senza precedenti, più di un
comune progresso nel campo della tecnica d'incisione. Arrivammo
a far diventare lo studio di registrazione parte del processo
compositivo, parte della stessa musica, piuttosto che il contrario.
I Floyd avevano suonato per mesi il materiale del disco in concerto
e sì trattava ora di manipolarlo, esaltarlo e trasformarlo
con nastri, effetti, loops e sintetizzatori. Fu quindi lo studio
ad essere al servizio della musica, non il contrario."
GH:
"Quale fu il tuo contributo reale a quel disco?"
AP:
"Bèh, il più delle volte essi non erano nemmeno
presenti e mi trovavo cosi nella posizione di poter sperimentare
le mie idee su quanto era stato già inciso. Credo di avere
un grande talento per questo: prendere qualcosa che già
esiste su nastro e modificarlo, ricreandone l'atmosfera solo
con un mixer e un registratore. Non ho mai suggerito a nessuno
di loro di fare "questo" o "quello", non
ero io il produttore, ma mi era consentito di prendere i nastri
e trasformarli in base al mio gusto e alle mie capacità.
Fu la mancanza di gratitudine da parte dei Floyd a spingermi
a reaIizzare un album di cui fossi completamente responsabile."
GH:
"Dunque quel disco segnò l'avvento nel tecnico-produttore?"
AP: "Esatto. All'epoca (eravamo attorno al '72, mi pare)
c'erano ben pochi "produttori". George Martin (Beatles)
era uno di questi. Phil Spector fu un altro. Ma gli altri continuavano
a essere per lo più direttori artistici, incaricati di
scegliere tutt' al più il repertorio dei dischi, veri
e propri "talent scouts" che, mentre l'artista era
in sala a registrare, preferivano piuttosto infilarsi nel pub
dietro l'angolo a sbevazzare. Fu allora che il tecnico del suono
divenne sempre piu' coinvolto nella dinamica creativa della musica.
I musicisti se ne accorsero presto e tutto cambiò: arrivarono
così i Glyn Johns, gli Eddie Offord, gli Eddie Kramer,
i Jimmy Iovine. Vedi, Martin aveva certe sue idee, ma era sempre
aperto al dialogo con l'artista: era quindi in grado di trasformare
un'idea discreta in una trovata sensazionale. Questo è
quello che io definisco un produttore".
GH:
"Cosa pensi allora del numero sempre crescente di artisti
che preferiscono autoprodursi?"
AP: "Non capiscono che puoi essere il migliore autore al
mondo e lo stesso venirtene fuori con un prodotto scadente. Troppi
gruppi oggi sono talmente consci dell'aspetto tecnologico da
pensare di non poter fare a meno di un produttore. Ma quello
di cui hanno bisogno è un altro paio d'orecchie, qualcuno
che "dall'esterno" li aiuti a mettere a fuoco la musica.
Ci sono voluti degli anni, ma i Pink Floyd l'hanno dovuto finalmente
ammettere: per "The Wall" hanno chiamato Bob Ezrin."
EW:
"Si arriva addirittura alla farsa di artisti come McCartney,
che tentano di incidere da sè i propri dischi. Con quel
suo album "casalingo", Paul ha rovinato del materiale
eccellente. Nessuno può far tutto da sè: non puoi
trovarti fisicamente da entrambe le parti, in studio e in regia.
Hai bisogno di collaborare con altri, di trarre profitto dalle
loro reazioni."
AP: "Lungi da me voler criticare gente come Frank Zappa
o Todd Rundgren, ma credo che stiano perdendo qualcosa di molto
importante."
GH: "Com'è nato dunque il Project e, in particolare,
l'idea di un album basato sui racconti di E.A. Poe (Tales Of
Mystery and Imagination)?"
EW: "Ci presentammo alla 20th Century Fox con la sola idea
di quell'album. Avevo notato che tutti i films basati sui racconti
di Poe avevano riscosso grande successo e cosi pensai che forse
un disco non sarebbe stato da meno. Firmammo il contratto, scrivemmo
testi e musica e in capo a un anno il disco uscì. Doveva
essere un progetto isolato, ma il successo e la creazione di
un nostro "medium" ci incoraggiarono a proseguire."
GH: "Come vi siete incontrati e qual'e la divisione dei
compiti nell'ambito del Project ?"
EW: "Ci incontrammo negli studi di Abbey Road quando Alan
stava lavorando coi Floyd su "Dark Side Of The Moon".
Io avevo già lavorato presso l'ufficio dei Rolling Stones,
avevo organizzato sessions con Jimmy Page e John Paul Jones,
e coi 10cc prima ancora che firmassero con la Decca; il tutto
senza alcun successo. Quando Alan ebbe alcuni problemi d'affari,
mollai la produzione per fargli da manager. In seguito ripresi
a scrivere e gli proposi di realizzare l'Alan Parsons Project."
AP: "Capii subito che Eric era un uomo d'affari. La prima
volta che l'incontrai, doveva suonare una parte di sintetizzatore
su un disco che stavo registrando, e continuava a dirmi: "Sono
sicuro che questa parte non ti piace, figuriamoci quest'altra
idea che mi è venuta per i cori.., e nel frattempo se
ne scappava di sopra a ritirare assegni (ride) all' ufficio cassa.
Pensai allora, "Oh, questo tipo sa come succhiare soldi
a una casa discografica... Poiché non riuscivo a far scucire
una lira alla EMI, lo chiamai in aiuto e dopo tre giorni mi sventolò
sotto il naso questo pezzo di carta: un assegno!. Per quel che
riguarda la divisione del compiti, Eric scrive tutti i testi
e gran parte della musica. Molte delle idee riguardo al primo
album furono sue."
GH: "Cosa rispondete alla critica di ambiguità che
viene spesso rivolta alla vostra musica?"
EW: "Bè, è vero. Io cerco di rendere ogni
cosa ambigua, dai testi alla musica. Noi consideriamo il Project
come un punto d'osservazione: tentiamo di offrire tutte le mille
sfaccettature di una certa situazione, senza salire in cattedra
però. Non ci interessa pontificare o forzare opinioni
attraverso i nostri dischi. Per quel che riguarda la musica,
se fosse vero che il nostro intento/fine è quello di produrre
mood music, musica d'atmosfera, allora sforneremmo un album al
giorno. Vogliamo scrivere canzoni e per questo ci vuole molta
disciplina. Altri che operano nello stesso settore (Tomita, Jean-Michel
Jarre, Sky, Mike Oldfield) non ne hanno affatto."
GH: "Alan, quali idee hai potuto sviscerare col Project?"
AP: "Idee tecniche e musicali, come la sovrapposizione di
diverse parti strumentali a velocità differenti (una tecnica
affermatasi in seguito con l'avvento dell' harmonizer) e il Binal
System, da noi preso in considerazione dopo il fallimento della
Quadrifonia. Considerando che gli esseri umani sono dotati di
due orecchi e non quattro, adottammo questo sistema di suono
"avvolgente", molto realistico, realizzabile con due
soli altoparlanti. Riguardo alla produzione vera e propria, ho
potuto finalmente accantonare certa "diplomazia" nei
riguardi dei musicisti. OK, puoi definire la nostra musica narcisistica,
ambigua, autoindulgente, ma il suo successo non ci ha spinto
ad alcun ripensamento. Tales Of Mystery And Imagination è
la realizzazione perfetta delle nostre idee. Vederlo in cima
alle classifiche fu un'enorme soddisfazione per tutti e due."
GH: "Siete sempre stati consapevoli delle qualità
visuali della vostra musica?"
EW: "Fu un DJ americano che definì la nostra musica
"rock cinematico" ed è vero, abbiamo girato
films senza immagini e questo è il gran merito di Alan.
E per questo motivo che è cosi difficile adattare immagini
alla nostra musica. Stiamo comunque svolgendo ricerche su immagini
che ben si fondino con essa."
GH:
"Esistono testimonianze oppure opere - visuali, films, quadri,
fotografie, luoghi - che hanno influenzato o ispirato qualcuno
dei vostri dischi?"
EW: "Ho sempre saputo che Paul McCartney ha scritto "The
Fool On The Hill" dopo aver visto la statua del Cristo a
Rio. Mi piacerebbe trarre ispirazione dallo stesso genere di
cose, ma non vedo come sarebbe possibile. E tu Alan?"
AP: "Oh si, ad esempio l'introduzione di Pyramid: mi immaginai
un deserto e quest'oggetto solitario, abbandonato."
EW: "Ma tu non hai mai visto una piramide in realtà:
si tratta soltanto di un'immagine mentale."
AP: "Beh, puoi trarre ispirazione anche da una fotografia.
L'inizio di Pyramid rappresenta per me il silenzio millenario,
la quiete solenne, di una piramide. Un altro esempio potrebbe
essere Nucleus, dove mi ispirai ad una sequenza specifica di
Metropolis, il film dl Fritz Lang, ma è difficile dire
come si arriva a tradurre in musica una certa immagine mentale
o fisica. Io so che se riesco a manipolare la gente che chiamo
a creare l'atmosfera che sto ricercando, allora avrò raggiunto
il mio obiettivo."
GH: "Per tutte le copertine dei vostri dischi vi siete rivolti
a Hipgnosis, lo stesso celebre "Studio" dei Floyd e
di tanti altri. Vi hanno aiutati a "visualizzare" la
musica di ciascun album ?"
AP: "No, le copertine son sempre state l'ultima cosa. A
dir il vero, la veste grafica mi ha sempre deluso perché
non credo che rispecchi adeguatamente il contenuto musicale.
Pyramid doveva recare soltanto la foto di una piramide ma sarebbe
stato troppo ovvio. Credo che le copertine migliori siano ancora
quelle dei primi due albums. Spero in futuro di riuscire a esprimere
meglio le mie idee visuali attraverso il video."
GH: "Come?"
AP: "In particolare sto studiando un nuovo mezzo che non
è vè video nè film, bensi è costituito
da immagini fisse. Quello che si risparmia in studi e cameramen,
lo si spende in materiale: circa 4.000 diapositive per soli due
minuti di musica il tutto programmato da un computer che ti consente
di fare qualunque cosa, conservando sempre la qualità
astratta di un film. Non è un'idea originalissima, ma
dà dei risultati incredibili."
GH: "I tuoi gusti e riferimenti musicali sembrano avere
radici saldamente piantate negli anni '60. Eppure la tua musica
è proiettata nel futuro. Cosa ne pensi?"
AP: "Mi sembra corretta come osservazione. La musica degli
anni '60, i Beatles, fanno parte della mia educazione mentre
gli anni '70, con l'avvento della disco music e del punk, mi
lasciano piuttosto indifferente. Non che io non apprezzi gruppi
come gli Yes e i Weather Report, ma mi piace la semplicità,
voglio che la mia musica sia semplice. Solo la tecnologia, non
il virtuosismo, finisce per renderla complessa ed è cosi
che concepisco la nostra musica: musicalmente semplice e tecnologicamente
complessa. Sai, è la prima volta che mi si suggerisce
che le mie radici siano negli anni '60; ed è esatto."
GH: "Ricevi richieste come produttore?"
AP: "Parecchie ma nulla che mi entusiasmi al punto da accettare.
Da quando il Project ha decollato, mi sento talmente appagato
da non avere bisogno di nessun'altra collaborazione. E per questo
che, dopo tre album di grande successo, ho smesso di lavorare
con Al Stewart. E' un gran musicista, siamo molto amici, ma se
avessi fatto un solo altro disco con lui, sarei stato una comparsa,
non un elemento creativo. Mi sarebbe piaciuto produrre gli Who,
gli ELO, i Police, i vecchi Beatles, "scoprendoli"
addirittura. Purtroppo tutte le richieste mi arrivano da artisti
già affermati. Sai, avrei potuto produrre io "Breakfast
in America", ma l'avrei realizzato in tutt'altro modo. E
difficile a dirsi."
GH: "Alan, le cinque registrazioni fondamentali di tutti
i tempi?"
AP: "Mmmm... "You've Lost That Lovin' Feelin'"
dei Righteous Brothers... "Won't I Get Fooled Again"
degli Who... "Penny Lane" dei Beatles... il "Prelude
d'Un Aprés Midi d'un Faune" di Debussy... "Papa
Was A Rolling Stone" dei Temptations."
GH: "Un solo brano americano su cinque?"
AP: "Tendo ad apprezzare di più la musica inglese
malgrado sia stata quella americana, in particolare quella nera,
a influenzare parecchio quella inglese. Per me, i Temptations
rimangono il massimo nell'ambito della musica nera, almeno per
quel che riguarda gli anni '70: basti ascoltare la tecnica e
il feeling che seppero proiettare in quel disco, probabilmente
il primo "classico" di disco music."
GH: "Il bene e il male dell'esperienza coi Beatles e coi
Floyd?"
AP: "Il tragico coi Beatles fu che arrivai in ritardo. L'unico
che riuscii a conoscere vagamente fu Paul. Quanto avrei voluto
esser lì in studio con loro mentre incidevano "Sgt
Pepper"! Credo proprio d'aver perso un treno, "Abbey
Road" e "Let It Be": bèh, lo sai meglio
di me: non erano più i Beatles!
I Floyd... ti parrà buffo, ma non riuscii proprio a capire
i loro primi due dischi, sai, tutto il trip psichedelico. All'epoca
eran solo effetti sonori, soltanto più tardi hanno acquisito
una certa consistenza musicale. E molto difficile giudicare i
Floyd in termini di produzione perché è questo
che loro rappresentano: lo zenit del processo di realizzazione
e produzione di un disco. Questo è parte della loro musica
quanto è parte della nostra. Posso solo dire che "Wish
You Where Here" e "Animals" non furono al loro
solito livello, mentre "The Wall" è un disco
esemplare. Chi si è perso lo spettacolo ha mancato uno
dei più grandi avvenimenti degli anni '80. Sono felice
d'aver avuto ruolo cosi importante nella creazione del loro capolavoro.
Senza Dark Side Of The Moon sono sicuro che oggi non esisterebbe
nessun Alan Parsons Project"
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