Il fantastico album "The Excalibur Project" è stato il perno musicale attorno al quale si è sviluppato il meeting Parsons Day 8, tenutosi a Stienta (Rovigo) nell'Agosto 2002. E l'ascolto dell'album è stato grandioso non solo per le qualità del prodotto in sé, ma anche perchè si è trattato di una prelibata anteprima mondiale dal momento che quasi un anno e mezzo sarebbe trascorso prima della pubblicazioni ufficiale. Inutile dire che i nostri commenti, estremamente positivi, sono scaturiti spontaneamente già durante il primo ascolto, e sono maturati con ascolti successivi. Con la presente pagina vogliamo rendervi partecipi di tutto il nostro grande entusiasmo a riguardo dell'opera di Michael Ernst, nonché fornire alcuni dettagli per fare un po' di chiarezza sulle vicende legate all'album ed al coinvolgimento di Alan. La pagina è strutturata a paragrafi ...andate direttamente a quello che più vi interessa cliccando sui seguenti titoli: Per più di 10 anni Alan Parsons è stato impegnato saltuariamente nel ruolo di co-produttore ed ingegnere del suono per le lavorazioni su un progetto musicale del suo amico austriaco Michael Ernst. Ernst, che negli anni '80 pubblicò un paio di brani di successo in Austria sotto il nome artistico di Mike Merlin, ha infatti scritto The Excalibur Project, un album interamente ispirato alla leggenda di Re Artù, le cui lavorazioni si sono protratte nel tempo dal 1990 circa fino al 2001. In questo progetto è anche coinvolto Chris Thompson in veste non solo di cantante per circa metà delle canzoni (le restanti sono affidate alla voce dello stesso Ernst), ma anche di co-autore. Parsons è anche stato consigliere sui molti altri aspetti inerenti le lavorazioni, nonché scrittore della musica (per lo più effetti sonori) per la traccia d'apertura The King Of Swords. L'album è composto da 13 brani. Nella tabella a seguire sono riportati i titoli, l'autore dei testi, delle musiche e la durata.
L'intero progetto è stato co-prodotto da Johnny Bertl e finanziato da Ronnie Seunig, il quale ha un locale sul confine tra Austria e Repubblica Ceca chiamato Excalibur City, un grande emporio duty-free, e vede l'operazione come un buon veicolo promozionale. Dopo lunghi ritardi e continui rinvii, l'album è definitivamente atteso per la primavera del 2003, anche se inizialmente soltanto in Germania, Austria e Svizzera. Il ritardo è dovuto alle ingenti lavorazioni su un progetto parallelo intitolato Excalibur - King Arthur In Love, il musical ispirato all'album. Sì, perchè mentre il disco prendeva forma è nata l'idea di trasformarlo in una rappresentazione teatrale diretta da Elmar Ottenthal, lo stesso che lavorò con Eric Woolfson per Freudiana, Gaudì e Gambler. Lo spettacolo avrebbe già dovuto alzare il sipario nel marzo 2002 presso il Theater Des Westens di Berlino, ma purtroppo anche questo progetto, che inoltre vedrà il probabile coinvolgimento di Alan Parsons in qualità di tecnico del suono, è stato posticipato al 2003. Sempre per il 2003, in estate, è prevista la realizzazione di un live concept legato all'album che consisterà in uno spettacolo con maxischermi e lasershow accompagnato dalle musiche dell'album (proprio quelle su cui ha lavorato Parsons, non quelle nella versione per il teatro). Infatti, non avrà nulla a che fare con il musical, e suo unico scopo sarà quello di promuovere l'album. Si prevede che lo spettacolo possa essere itinerante e non è da escludere che possa toccare anche l'Italia. Nell'attesa che il musical alzi il sipario (è intenzione di Ernst realizzare anche il relativo Cast Disc) e che arrivi l'estate del 2003, nella speranza che l'album di studio sia pubblicato presto anche in Italia, non ci resta che acquistarne una copia di importazione. Il sito di Michael Ernst (purtroppo soltanto in lingua tedesca) è raggiungibile all'indirizzo http://www.michaelernst.at.tt Grazie ai portentosi mezzi di Greg abbiamo potuto registrare in diretta i commenti a caldo scaturiti durante il primo ascolto dell'album. Di seguito trovate la trascrizione di alcune di queste nostre critiche, pazientemente raccolte da Greg. La lettera all'inizio di ogni frase indica chi ha espresso quel pensiero (D per Dario, E per Enrico, F per Francesco, G per Gregorio, L per Lorenzo, S per Stefano, T per tutti), mentre le scritte in corsivo sono note aggiunte per farvi comprendere meglio in quale contesto è stato espresso un particolare commento. L'ASCOLTO
E' GIA' INIZIATO ED IN SOTTOFONDO C'E' ORA "BACK AGAIN" INIZIA
"STOP" FINISCE
"STOP" FINISCE
"ON THE RUN", FACCIAMO UN PO' DI PAUSA, POI SI CONTINUA
FINO ALLA FINE DELL'ALBUM SI
RICOMINCIA L'ASCOLTO E IN SOTTOFONDO C'E' NUOVAMENTE "THE
KING OF SWORDS" Dopo successivi ascolti, ognuno di noi ha scritto un commento maggiormente dettagliato su un paio di brani, estratti a sorte. Ecco i nostri pareri: The King Of Swords. Come è nella tradizione degli ultimi lavori parsoniani (anche se qui Alan non è che abbia influito molto nella scrittura vera e propria dei brani), anche The Excalibur Project inizia (e finisce) con un'introduzione vera e propria, che porta l'ascoltatore ad interpretare al meglio l'intero lavoro, che fornisce un filo conduttore a tutti i brani dell'album. The King of Swords è, fra l'altro, l'unico pezzo di Excalibur che porta la firma in calce di Alan. Ed è di estrema semplicità, essendo costruito su tre singoli elementi sonori che si intrecciano ed interagiscono fra di loro: un flauto (probabilmente suonato dallo stesso Parsons), una voce narrante ed una serie di effetti sonori tipici del lavoro di un fabbro (forgia, incudine, martello ). Il tutto sapientemente miscelato. La voce narrante apre raccontando di Excalibur, della leggenda della spada nella roccia. Che in fondo non è altro che un pretesto: la spada nella roccia, Excalibur, è contenuta in ognuno di noi. Ed è la nostra forza interiore, la nostra volontà, i nostri desideri, la nostra personalità. Tutto l'album non è altro che un invito ad estrarre la nostra personalissima "spada nella roccia", a tirar fuori quello che abbiamo dentro. (Enrico Contini) Excalibur. La spada è sguainata. Potente ed aggressiva parte la title track. Che si canti di vendetta e di guerra, di amore e libertà. In pochi istanti i cantastorie Ernst e Thompson ci trascinano indietro di secoli, in un inno alla leggenda della spada sacra, invitandoci a raccoglierla, insieme al guanto della sfida. L'atmosfera è coinvolgente, un misto di rock e medievale, perfettamente azzeccata. Chiudendo gli occhi sembra di trovarsi nell'affollata piazza dove la leggenda sta prendendo forma. Il tocco di Alan Parsons è immediatamente riconoscibile: luso di una elegante partitura orchestrale di sottofondo perfettamente bilanciata con dei cori a rinforzo della melodia di base, lestrema pulizia dellengineering (come forse non si sentiva fin dai tempi di Try Anything Once), gli effetti sonori di contorno tra cui spicca una percussione che rimanda ad un fabbro che batte sull'incudine, la voce di un vocalist riconoscibile come Chris Thompson, il vocoder per non parlare del fatto che la canzone segue immediatamante una strumentale come in Eye In The Sky e Freudiana cè altro da aggiungere? Ah, sì, naturalmente il brano è fantastico. (Stefano Viezzoli) Magic. Mai un titolo di una canzone ha saputo descrivere così bene le sue sonorità. Certo perchè, soprattutto l'atmosfera introduttiva della traccia con utilizzo di un'orchestra è realmente magica, capace di far chiudere gli occhi e sognare anche alla persona più insensibile. Il ritmo creato nella parte cantata non è meno evocativo della sua introduzione con un sottofondo orchestrale e una batteria elettronica che non avrei mai pensato potessero convivere così amichevolmente e poi la voce, quella che noi conosciamo del "Magic" Thompson che duetta magicamente con mistiche parole sussurate. Se proprio volessimo trovarne qualche critica potremmo dire che il ritornello, molto dinamico, che utilizza accanto all'ugula del "Magico" un coro femminile, sembra essere molto "da classifica", ma è una semplice questione di gusti e per i miei personali tale passaggio permette ancor di più di evidenziare la "Magia" evocativa creata dalle note appena precedenti. (Lorenzo Zencher) A Long Long Time Ago. Un drastico cambio di ritmo introduce la prima ballad del disco. Pianoforte ed orchestra accolgono la voce di Michael Ernst, che, libera da deformazioni elettroniche (salvo un suggestivo eco), ci invita a guardare indietro, verso i giorni di un passato più felice, a cercare dentro di noi la forza necessaria ad affrontare le difficili sfide e le paure che ci attendono appena dietro langolo. Un crescendo sottolineato dalla splendida partitura orchestrale, che cresce insieme alla voce e si impone decisamente nella seconda metà del brano, in una commistione tipicamente alla Parsons che ricorda molto da vicino le suite di alcuni degli album del Project o la celeberrima Music di John Miles. Uno splendido brano che come stile compositivo si pone a metà tra il concept e una colonna sonora vera e propria. (Stefano Viezzoli) Back Again. Grandissima introduzione di violini e basso grandioso basterebbero a fare di questo brano una hit assoluta; superba la voce di Chris Thompson; mitico il ritornello musicale a meta' brano, indovinate le backing vocal fino ad arrivare alla fine del brano con il temporale. Grandissimo pezzo, voto 9. (Guido Montini) Stop. C'è una parola che definisce correttamente questo pezzo: esaltante.Ti coinvolge fin dall'inizio. L'effetto temporale ti fa già capire lo stato d'animo del protagonista (la grande voce di Chris Thompson), il coro che inizia, "disturbato" da una campana, accresce la suspence, fa salire l'aspettativa. Ti immagini che il tutto sfoci in un'atmosfera cupa, con suoni lugubri. Poi irrompe la base ritmica, e la sensazione cambia. Senti il conflitto interiore, senti l'adrenalina che sale, senti la tensione che cresce. L'invocazione "stop!" è accompagnata da una variazione di suoni, ed è un po' come se la macchina da presa, che fino a quel momento seguiva il personaggio nella sua corsa, nella sua fuga, perdesse il proprio soggetto improvvisamente, allontanandosi per poi recuperarlo con un improvviso scatto all'indietro. La parte finale del pezzo, caratterizzata dall'alternanza del coro e della voce principale che invoca uno "stop!", accresce ancora di più la tensione, che culmina nella geniale trovata alla fine del brano, quando all'ultimo stop fa seguito un silenzio assoluto, che ti lascia le orecchie vuote. Un ottimo pezzo, egregiamente condotto da Thompson, ed un capolavoro di ingegneria sonora. (Enrico Contini) On
The Run. Sembra
un brano di Crusader di Chris De Burgh, ma è anche
a mio giudizio il miglior pezzo per assemblaggio di rock e sonorità
classiche; buona la sessione ritmica, solo abbozzata la chitarra
(manca l'assolo lasciato ai fiati dell'orchestra), finale orchestrale
eccellente, piano che introduce e chiude la traccia. Effetto
appena abbozzato ma efficace quello sulla voce di Ernst sul primo
ritornello, quasi si sente l'affanno del cantante, nel tentativo
di dare una eco drammatica al brano. Difatti tratta del (presumibile)
riferimento alla donna amata di King Arthur, della sua disperazione
("tears rolling down her face/falling to the floor/the demons
in her head") sino al tragico concludersi della vicenda,
con l'abbraccio della morte ("she takes the kiss of death/an
arm around her shoulder/squeezing out her breath"). Potente
ed orgogliosa nella sua vena sinfonica, è strutturalmente
semplice e come le restanti tracce stilisticamente compiuta in
ogni dettaglio. Davvero manca l'assolo di Bairnson a completare
l'opera. Un brano nelle corde di un Chris Rainbow d'annata. (Dario
Pompili) Goodbye. Questo è uno di quei brani che ti lascia seduto immobile sulla poltrona ad ascoltare ogni sfumatura della strepitosa voce di Thompson. Si tratta sicuramente del pezzo più lento dell'intero album, strutturato molto bene e realmente toccante con la sua semplicità di strumentazione, costituita unicamente da pianoforte, orchestra e voce. Semplicità di strumentazione alla quale, però, si contrappongono gli arrangiamenti orchestrali, davvero emozionanti. Efficace anche la variazione, con crescendo d'archi ad aumentare la drammaticità. (Francesco Ferrua) People Shall Be Free. La struttura del pezzo è molto semplice ed è un misto tra cantato e rap. Una base ritmica avvolgente con una sottofondo di archi e assoli di chitarra classica. Questi assoli rendono il brano semplice ma non commerciale. "Take my hand and run into the Sun": una richiesta di fiducia che non può essere soddisfatta senza una chiara visione d'insieme della situazione. Il brano rappresenta un cambiamento di animo del protagonista, non è un punto cardine della storia, ma introduce bene la traccia successiva Time to Change: prima di fare dei cambiamenti è necessario avere la libertà per compierli. (Gregorio Gobbi) Time To Change. Strano destino quello della parola pop. Alcuni artisti si vergognano ad utilizzare quel termine, quasi fosse un etichetta che denigrasse il loro prodotto. Personalmente ho sempre pensato che non esiste un genere musicale migliore dell'altro, ma che semplicemente vi sono delle canzoni belle e ben realizzate o viceversa che prevalica il fatto che queste appartengano ad una categoria o ad un altra. Detto ciò non mi vergogno nel definire Time to Change un gioiello pop. Se questo brano venisse adeguatamente pubblicizzato non avrebbe problemi a sostituire anche nel cuore dei teen-agers le note della attuale divora charts Shakira. E badate bene, mica si tratta di una delle tante banali brodaglie che si impongono nelle classifiche. Time to Change parte con il rumore della natura, dell'acqua e attraverso l'evoluzione di coinvolgenti percussioni prende un ritmo costituito dalla ritmicità di un coro i cui versi rimangono in mente all'ascoltatore anche parecchie ore dopo l'ascolto. Su di questo si arrampica la straordinaria voce di Thompson e sullo sfondo ecco che le modernissime tastiere presenti si rincorrono continuando a cambiare tonalità. Questa traccia pare essere un vero e proprio inno che una volta sentito "costringe" l'ascoltatore a farlo proprio, ripeterlo a squarciagola e, in casi non rari, a ballare al suo ritmo. E per chi trova che la magia musicale non ha nulla a che vedere con il movimento del corpo consiglio di munirsi di cuffie e divertirsi ad individuare tutti i vorticosi e sottili effetti di tastiera che animano la traccia. (Lorenzo Zencher) Part Of Me, Part Of You. Il pezzo più romantico dell'intero disco, posto in modo strategico come penultima traccia. Tutto il percoso affrontato nel disco ha portato il protagonista alla certezza dell'esistenza del vero amore tra lui e la sua innamorata. La traccia inizia e termina con un assolo di pianoforte dolce ma abbastanza incitante e durante tutta l'esecuzione è un crescendo di emozione attraverso anche la sottolineatura degli archi e dei cori che rendono il ritornello più corposo. Una canzone davvero strappalacrime cantata con molto sentimento: la classica canzone eseguita con la scena completamente buia con solo l'occhio di bue puntato sul protagonista che suona il piano. (Gregorio Gobbi) Every Dream Will Have Its Day. Brano allegrotto, che si discosta forse troppo dal filone narrativo del CD; giustamente è stato messo alla fine, forse come riempitivo. Nota positiva è il ritmo incalzante e certi strumenti particolari, voto 6,5. (Guido Montini) Alcuni di noi hanno voluto esprimere un giudizio ulteriore sull'album nel suo complesso. Francesco Ferrua. The Excalibur Project è uno di quegli album che ti prende fin dal primissimo ascolto, ma che, contrariamente a come spesso capita con album di immediato accesso, col passare del tempo non perde il proprio fascino ed, anzi, continua a suscitare grande entusiasmo. Questo fatto è sicuramente dovuto a quella che, probabilmente, è la caratteristica più lodevole e sorprendente dell'album: gli attenti arrangiamenti sanno soddisfare sia l'ascoltatore sofisticato che ricerca elaborati intrecci e strati sonori, sia l'ascoltatore distratto che mira ad un immediato accostamento alla melodia. Di conseguenza, si tratta di un prodotto decisamente molto valido, ma anche con un elevato potenziale di vendita. Proprio questo è eccezionale: l'album è molto elaborato, ma al contempo sa essere anche particolarmente orecchiabile e estremamente godibile. Per quanto riguarda le registrazioni, nei suoi cinquanta minuti The Excalibur Project presenta sonorità incredibilmente perfette e cristalline, un grandioso spessore degno del miglior Parsons non solo come tecnico del suono, ma anche come curatore di numerosissimi efficaci effetti sonori che riescono a legare assieme le varie tracce e che richiameranno alla mente del parsoniano numerosi episodi dei tempi del Project. Ciò che maggiormente sorprende a livello di produzione e arrangiamento è come pur trattandosi di un album musicalmente molto vario risulti fortemente compatto, soprattutto nei primi due terzi. Nota ulteriore è da porsi sul fatto che pur trattandosi di brani che stilisticamente devono molto ai clichè tipici degli anni '70 e '80, si è riusciti a dargli grandi boccate di ossigeno grazie ad un attento aggiornamento verso sonorità e ritmiche piuttosto moderne: non è raro l'uso di batterie elettroniche ad accompagnamento di eccelse partiture orchestrali, o l'accostamento di strumentazione acustica ed elettronica. Il tutto nel sorprendente raggiungimento di un controllato e sapiente equilibrio. Per quanto riguarda il concept, l'album è incentrato sulla leggenda di re Artù, ma come nelle migliori tradizioni progressive, il concept rivela il suo doppio piano di lettura all'interno del quale le vicende cavalleresche sono soltanto una pretesto per affrontare tematiche più profonde e personali. Ognuno di noi ha una propria spada nella roccia, i piccoli grandi problemi della vita, che solo lottando con grande forza e ricerca interiore possono essere risolti. Anche su questo aspetto Ernst è riuscito a non cadere nell'ovvio e nel banale, evitando di usare diretti riferimenti alla leggenda di Excalibur e sottraendosi dall'uso delle tipiche sonorità prettamente medievaleggianti. Il risultato di tutto questo è un album veramente molto bello, brillante e interessante. Se proprio si vuole trovare qualche difetto o, meglio, qualche differenza di vedute tra le scelte effettuate da Ernst e soci e quelle che avrebbe preso il sottoscritto, si possono affrontare due argomenti: la carenza di chitarra e una certa disomogeneità di atmosfera (e, quindi, di legame) tra i primi due terzi dell'album e la restante parte. In realtà la chitarra elettrica c'è, ma è usata per rafforzare la ritmica e troppo miscelata con le tastiere ...un paio di assoli alla Ian avrebbero sicuramente trovato la loro giusta collocazione. Per quanto riguarda la disomogeneità tra le due parti dell'album è difficile dire quanto questa sia una caratteristica voluta e tenuta sotto controllo e quanto un punto debole dovuto, magari, alla lunga gestazione dell'album. Fatto sta che quell'atmosfera più "storicizzata", potente e cupa, che si respira nella prima parte, viene un po' a diminuire nella seconda, perdendo di carisma e lasciando spazio a pagine meno impegnate. Questi gli unici due punto che a mio avviso giocano a sfavore per poter definire The Excalibur Project un album perfetto ...ma la perfezione forse non esiste e ciò non toglie che si tratta in ogni caso di un lavoro veramente bellissimo. Dario
Pompili.
Excalibur, mito del medioevo, un altro concept album. Chi meglio
di Parsons poteva presenziarlo? Alan risulta presente nella veste
di produttore di un album destinato ad incorniciare prossimamente
il musical omonimo. Cosa
è da elogiare: un chiaro concept,
da inquadrare meglio al momento in cui apparirà il musical;
sicuramente Alan ha messo mano alla direzione dei lavori di svariate
tracce, tra cui sicuramente la beatleasiana Now It's Up To
You, da non perdere, impensabile senza Alan, troppo ben riuscita
per non sognare un inedito firmato Lennon arrivato sino ad oggi
incorrotto. Lo stile parsoniano si sente dall'inizio, grandissima
maestria nella registrazione, sonorità pulite e compiute;
uso ben coordinato di un numero di tracce sopra le aspettative,
che riescono a dare il giusto spessore ad ogni brano, ed a un
orecchio attento evocano mille sfumature "project". Lorenzo
Zencher.
Da un po' di tempo non ascoltavo un disco del valore di Excalibur.
Ciò che più mi ha colpito è il suo equilibrio.
Equilibrio inteso come capacità di mediare fra commercialità
ed evoluzione musicale, tra sonorità del passato e di
futura attualità. |