Pronto, Alan Parsons?
Hello, I Robot

(marzo 1978)

 

Con I Robot il musicista produttore ingegnere del suono Alan Parsons ha riscosso un grandissimo successo, specialmente negli Stati Uniti, ma anche in vari paesi europei, Italia compresa.
Da noi il fenomeno Parsons non ha avuto le stesse proporzioni d'oltreoceano, ma operando un confronto con quanto era accaduto per il precedente disco ispirato ai racconti di Edgar Allan Poe, è doveroso ammettere che "I Robot" ha incentrato in sé un interesse impensato. Causa non indifferente di questo successo è anche la concessione da parte dell'artista verso una musica molto più immediata frutto, come ebbe a dire lo stesso Parsons, di alcuni compromessi con se stesso e con l'industria discografica. Ma è opportuno ascoltare dalla sua viva voce quello che ha da dire in proposito.

INTERVISTA AL TELEFONO

2001: Come mai c'è stato un passaggio così brusco dal primo al secondo album non solo dal punto di vista strettamente musicale ma anche per ciò che attiene al gradimento del pubblico?

Parsons: Io credo che il mio album abbia avuto successo grazie alla spinta che tutta la musica di estrazione fantascientifica ha ricevuto dal colossal "Starwars"; comunque quando io ho preparato "I Robot" non sapevo nulla di questo film, la pellicola è stato un aiuto involontario.

2001: Hai dichiarato che nel tuo secondo disco sei sceso a dei compromessi, puoi spiegarmi di cosa si tratta?

Parsons: L'ho letto anch'io, ma non so chi abbia messo in giro queste presunte dichiarazioni, non credo di essere giunto ad alcun compromesso. La verità è che io ed Eric WooIfson (paroliere e musicista braccio destro di Alan, ndr.) lavoriamo bene insieme ed in sala prevediamo e pianifichiamo tutto il nostro lavoro, lui scrive ed io simultaneamente compongo, questo, è testimonianza di una reciproca ed importante comprensione.

2001: Credi di aver insegnato qualcosa ai numerosi artisti (Pink Floyd, Al Stewart, Steve Harley, Cockney Rebel... ndr;) con cui hai lavorato come ingegnere del suono? O sono più le cose che gli altri hanno insegnato a te?

Parsons: Quando il lavoro di un gruppo o di un artista arriva in sala si crea un'attività bilaterale che porta vantaggi all'una e all'altra parte così, in egual proporzione, io imparo dagli artisti e loro da me. Con i Pink Floyd è un caso un pò particolare perché non si lavora con gli occhi fissi all'orologio, ma si sta in sala senza limiti di tempo e senza condizionamenti esterni. Generalmente si va avanti finché le idee escono fuori spontaneamente. Loro quattro sono ottimi professionisti e quando arrivano in sala hanno già delle melodie sufficientemente strutturate per cui si comincia a lavorare insieme sul materiale in ballottaggio.

2001: Mentre preparavi "Robot" hai mai pensato o fatto un raffronto con la tua precedente esperienza di "Tales of mistery and immagination" ?

Parsons: Per "I Robot" non avevo previsto nulla, ero soltanto molto felice per aver finalmente potuto realizzare un progetto cui pensavo da molto tempo, il fatto, poi, che il disco sia andato benissimo specialmente in Europa mi rende ulteriormente contento. Non ho pensato a niente nemmeno per il mio terzo album che sarà pronto fra pochissimi giorni, ma non posso anticiparti nulla tranne che l'argomento sarà a metà tra la storia e la favola.

2001: Quindi ancora qualcosa di misterioso. Com'è che hai questa passione per la letteratura fantascientifica al punto da influenzare le tue scelte musicali?

Parsons: Sono letture che ho fatto fin da ragazzo, poi quando sono diventato musicista mi sono accorto che comporre sulla traccia di certi racconti fantastici poteva dar origine ad una musica affascinante.

2001: Pensi che nel "sound" inglese, che nella massima parte sembra esser tornato a forme più istintive e dirette, ci sia ancora uno spazio attuale per la tua musica a prescindere dalle preferenze del pubblico?

Parsons: Nel pubblico inglese bisogna distinguere ciò che è adesione viscerale ad una moda da un punto di vista sociale od iconografico da quella che è la concreta ricezione della musica. In questo senso il pubblico britannico non se la sente molto di etichettare ciò che ascolta, ma gli è sufficiente decidere se quanto gli viene proposto è buono o scadente
Il mio caso ha dei precedenti, Rick Wakeman, Vangelis o gli stessi Pink Floyd, è tutta gente che, se osserviamo la "moda" di oggi non dovrebbe avere riscontro ed invece è seguitissima.

2001: Forse "Star wars" ti ha condizionato anche da un punto di vista strettamente cinematografico; ad esempio, ho letto su una rivista inglese che per "I Robot" avevi intenzione di realizzare un film, questo è vero?

Parsons: Questo è verissimo, è un mio antico sogno che ero a due passi dal realizzare, ma ho trovato una serie di difficoltà insormontabili specialmente, come puoi capire, di natura economica. Ma la rappresentazione visiva della mia musica continua ad essere un problema che mi stimola enormemente e quindi anche per il prossimo album riproverò a progettare un lavoro cinematografico e speriamo che sia la volta buona.

2001: Credi di poter tornare a lavorare con i Pink Floyd?

Parsons: Credo proprio di no; intendiamoci, il periodo passato a lavorare con loro è stato bellissimo, abbiamo fatto delle cose belle in perfetta armonia, ma ormai io devo preoccuparmi principalmente della mia carriera di artista. Naturalmente con i Pink Floyd sono rimasto in ottimi rapporti, proprio recentemente David Gilmour è venuto a trovarmi congratulandosi per il mio Long Playing.

2001: In Italia "I Robot" ha avuto una buona accoglienza, alcune stazioni televisive hanno trasmesso dei filmati che ti riguardano, non hai intenzione di venire di persona?

Parsons: Oh, sono molto contento di tutto questo, davvero non me lo aspettavo; certo che mi piacerebbe molto venire da voi, oddio, per suonare so che ci sono dei problemi: ma una visita credo che possa essere possibile, magari proprio in coincidenza del mio prossimo album.

Enrico Gregori