I buoni propositi del Sig. Alan Parsons

(maggio 1984)

 

Il vetro che nella sala d'incisione divide il musicista dal tecnico del suono è sempre stato qualcosa di più che una semplice barriera di cristallo, creando una netta linea di separazione fra due mondi spesso apparsi in contraddizione. Gli artisti, considerando con una certa diffidenza i mixer e i loro addetti, non hanno mai voluto mettere mano ai cursori, proprietà privata degli ingegneri, freddi esecutori e personaggi completamente privi di interesse nella composizione. Poi, più o meno verso il 1975, le cose hanno cominciato a cambiare.

I gruppi hanno preso a controllare i propri suoni autonomamente e i tecnici, sicuramente non privi di fantasia hanno cominciato a svilupparla in una direzione diversa, mettendosi a creare materia prima musicale. Tra i primi a saltare dall'altra parte del vetro due nomi illustri destini diversi, David Henthiel, ex collaboratore di studio dei Genesis, e Alan Parsons, il cui passato luccicava per i lavori con Beatles e Pink Floyd. Infatti mentre il primo è rimasto, come musicista, nell'anonimato, il secondo ha costruito un solido impero che ormai sembra indistruttibile. Insieme al fedele.compagno-cantante-ispiratore Eric Woolfson, ha dato vita all'Alan Parsons Project, un veicolo tecnico-musicale con lo scopo di elaborare un nuovo modo di mettere insieme le solite vecchie sette note.


Ora che la settima fase del progetto, "Ammonia Avenue" è in circolazione da qualche settimana e già punta alle vette più alte delle classifiche dei dischi più venduti, l'obiettivo fissato nove anni fa può considerarsi raggiunto. La musica è lieve ed accattivante, suonata con grande maestria e professionalità, pura e precisa dal punto di vista tecnico, anche se, dati i tempi computerizzati che stiamo vivendo ci si potrebbe aspettare un'invenzione finale del tecnico inglese, da sempre topo di sala e consumato maestro. Ma la novità rivoluzionaria non c'è e nonstante i grandi pregi del lavoro, resta profondo il dubbio che qualcosa in più si poteva fare.


La macchina del progetto si era avviata a fine '75 con la pubblicazione di "Tales Of Mystery and Imagination", un prodotto preciso e ricercato forse un pò troppo sinfonico per il gusto imperante in quel periodo. Le composizioni erano freschissime, ma, sebbene la critica ne avesse parlato in termini entusiastici, il successo commerciale fu praticamente nullo. Le cose andarono meglio con il successivo, "I Robot", ispirato ai racconti fantascientifici di Asimov, e con il terzo "Pyramid" venne il successo che permise a Parsons di saltare definitivamente la barriera che separava la sua essenza di tecnico da quella di artista, ottenendo assensi da ogni parte. E quando pubblico e critica vanno sullo stesso binario vuol dire che i giochi sono veramente fatti. Il quarto figlio, "Eve" mise in mostra il fatto che il progetto stesse perdendo qualche colpo puntando troppo sull'easy listening e non riuscendo a trovare la compattezza dei lavori precedenti. Un album certamente meno cerebrale ma ancora un grande successo. La schiera degli ascoltatori era definitivamente conquistata e vendere "The Tum of a Friendly Card" è stato quasi un gioco commerciale in una confezione tecnica di lusso. Un compromesso veramente storico anche perchè in grado di unire nell'approvazione gli esigenti appassionati della musica cosiddetta colta e i consumatori dozzinali di canzonette.


Il progetto aveva ottenuto finalmente quanto desiderava al momento della partenza. E adesso dov'è il vecchio sentiero? "Ammonia Avenue" esce dal seminato, evidenziando anche un passo indietro nella qualità tecnica delle esecuzioni, che ci porta ad osservare il disco da due punti di vista differenti, quello della abilità di aggiungere una grande massa di ascoltatori e quello delle caratteristiche essenzialmente tecniche. Nella prima ottica il lavoro non fa una piega con i suoi ritornelli che spesso danno l'impressione di essere già stati sentiti favorendo un impatto facile e immediato che non richiede alcun sforzo e nessuna attenzione particolare nell' ascolto. Vinile da mettere sul piatto quando si parlotta fra amici, oppure quando si riordina la propria camera da letto, che se non mancano i lenti per ballare. Dal lato tecnico, invece, il piatto piange e le macchine sembrano non voler dare più aiuto. In "Ammonia Avenue" Parsons scopre il Fairlight, il sintetizzatore più interessante attualmente presente sul mercato, capace di riprodurre, analizzare e modificare qualsiasi tipo di suono, ma non riesce a sfruttarlo a dovere. Tastiere scontate e quindi fuori gioco, ed esclusa la solita (per Parsons) orchestra di Andrew Powell, soltanto le percussioni arrivano a superare la sufficienza. Decisamente da bocciare la chitarra, troppo legata al mito elettrico degli anni sessanta, senza alcun senso in un prodotto che punta all'innovazione. Ma vediamo il disco nei dettagli.

 

Le canzoni


"Prime Time" apre l'incisione in sordina con basso e batteria ad imbastire un tappeto musicale eterogeneo sul quale arriva la prima "schitarrata" stile di quindici anni fa. Suoni puliti ma privi di invenzione, sebbene gli impasti vocali sono ottimi anche grazie alle doti di Eric Woolfson, vero marchio fabbrica dei dischi di Parsons. "Let me go home" ci porta nel paese dell"' Electrometal", con il suo stile pesante all'americana: dove è andato a finire il vecchio feeling britannico? Le cose migliorano con "One Good Reason" e le sonorità si fanno più profonde, con dense percussioni ed arpeggi di chitarra e piano chiari e profondi. Ancora poche tastiere ed orchestra in secondo piano, anche se nel successivo, "Since the last goodbye", si assiste ad una vera e propria esplosione sinfonico-barocca in uno struggente lentaccio che porta la memoria ad "Atlantis" di Donovan. Ricorda invece i Beatles con il suo attacco alla John Lennon "Don't answer me", il brano che chiude la prima facciata. La batteria è ancora una volta il suono più curato e Woolfson dimostra tutta la propria bravura ma il sax di Mel Collins è veramente datato. Peccato, era cominciata bene.

Ad aprire il secondo lato è "Dancing on a highwire" e stavolta i cori fanno venire in mente i C.S.N.&Y. in versione anni '80 con chitarra acustica in abbondanza su cadenzate basi elettroniche. Ed il richiamo al già sentito cresce ancora di più con "You don't believe" che si apre come un pezzo di Gilmour e continua come uno dei Pink Floyd. Carino, veramente carino, ma quante volte ce lo hanno già propinato? Con "Pipeline" Parsons ci regala un'accattivante strumentale in crescendo che forse presto vedremo come sigla di un settimanale d'attualità del telegiornale. Buono l'inizio a base di sequencer ed orchestra, ma il finale con il sax alla Papetti rovina veramente tutto, un po' come ad avvertire che il disco si sta per concludere con il classico lento malinconico e nostalgico secondo la più tipica delle tradizioni.

A questo punto però, non si può fare a meno di rimettere il braccio all'inizio dei solchi e ricominciare l'ascolto, o perché abbiamo fatto un viaggio negli anni passati o perché stiamo mettendo a posto la camera da letto o, più semplicemente, perché "Ammonia Avenue" ci ha catturato e fatto compagnia per quaranta minuti. Il lavoro, come detto, sembra essere fuori dalla linea del progetto tracciata inizialmente da Parsons, ma se il suo obiettivo fosse proprio questo? E' una questione che, come la copertina del disco, si può prendere e guardare da tutte le parti. L'ottava fase ci dirà chi ha ragione e farà capire dove vuole arrivare il mago del suono nel suo viaggio dall'altra parte del vetro.

 

I simbolismi

L'arte di nascondere concetti dietro a maschere fuorvianti non è mai stata propria dei signori delle macchine, i tecnici dalla mente matematica, gli uomini per i quali due più due fa sempre e soltanto quattro. Alan Parsons, soprattutto quello prima maniera rappresenta un'eccezione alla regola in quanto in ogni suo lavoro ha mostrato un immenso piacere nell'usare simbolismi, attribuendo significati arcani e suggestivi ad immagini fatte di oggetti comuni e apparentemente senza un senso preciso. Saltando da Poe ad Asimov, dall' antico Egitto al Vecchio Testamento fino ad arrivare ai laboratori chimici di "Ammonia Avenue" non ha mai reputato opportuno servire contenuti su piatti dorati, cercando di condurre l'ascoltatore a forzare la porta della propria fantasia ispirandosi alle copertine dei dischi.


Con "Tales of Mystery and Imagination" il tecnico inglese spinto dal compagno Woolfson ha esplorato il mondo di Poe offrendogli un appassionato tributo e riportandolo nel ventesimo secolo affermando che il mistero è nell'uomo e che non è facile da comprendere perchè nascosto molto bene.... dal nastro magnetico. Un modo come un altro per dire che il mago della sala d'incisione stava cercando la sua personalità al di fuori del mondo che fino a quel momento lo aveva visto protagonista.


"Il declino dell'uomo è cominciato con la scoperta della ruota... un avvertimento che il suo breve dominio sulla terra è destinato a terminare perché ha cercato di creare un robot a sua immagine e somiglianza", sono le parole che presentano "I Robot", e le immagini vengono subito a chiarirci le idee. Sulla copertina vi sono delle figure umane prigioniere del parigino Centre Pompidou, un pò a simboleggiare come le creazioni degli umani possono un giorno rivoltarsi contro di loro. La nostra specie non ha quindi futuro, non resta che consolarsi con il passato, ed ecco che arriva "Pyramid", inno alle costruzioni degli egizi, portafortuna e allo stesso tempo unica delle meraviglie del passato rimaste a ricordarci che molti prima di noi hanno camminato dove camminiamo.


E perche non tornare più indietro, alla creazione e trovare una Eva maliziosa e portatrice di inganno. La Bibbia sacro testo di religione da molti definito come il "miglior libro fantastico mai scritto", fornisce spunti meravigliosi e allora la prima donna può veramente divantare primadonna e Parsons può cantare l'amore impossìbile per la bellezza perfetta che forse non è cosa di questo mondo. Con "Eve" si chiude i simbolismo sentito di Parsons, e si passa ad un mascherare manieristico, ma ormai consacrato nel successo. Troviamo il fato e di nuovo la religione in "The Tum of a Friendly Card" e la senzazione è che tutto sia stato buttato giù in fretta con la scoperta dell'acqua calda, "La fortuna gira e bisogna saperla cogliere senza incertezze!", "Eye in the Sky" con il mito dell'essere superiore chiude il razzolare nel passato di Parsons e ci guida ad "Ammonia Avenue" chimicamente moderno nei suoi concetti. Può darsi che andare a scandagliare i contenuti simbolici di un disco sia un pò come dichiarare guerra ai mulini a vento, perché detta una cosa ci si può tranquillamente esercitare nell'arte sofista di affermare la verità del suo contrario. In fondo una copertina è concepita per vendere un disco e per questo scopo deve essere gradevole e attirare l'attenzione. Il nostro tecnico del suono potrebbe essere un mistificatore e non aver mai pensato nulla di quanto ha fatto, ma, dato che il fine giustitica i mezzi, questo problema passa in secondo piano. Sicuramente Alan Parsons è un uomo dalle molte idee chiare, e non è sicuramente una cosa da poco.

Marco Zatterin