INTERVISTA A DAVID PACK

a cura di Francesco Ferrua

 

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Francesco Ferrua: Cominciamo dall'inizio della vostra carriera. Quando hai incontrato per la prima volta Joe, Burleigh e Christopher? Come è nata la vostra comune avventura musicale?

David Pack: Joe ed io ci incontrammo per la prima volta all'età di 15-16 anni... suonavamo in un gruppo chiamato The Sentry's... poi a 18 anni formammo un "supergruppo" di musicisti provenienti dalla Baia Sud di Los Angeles. Sapevamo di Chris perché in città la sua reputazione era leggendaria... era oscuro, misterioso, tirava fuori di tutto da un Hammond B3 ed era un bluesman a cui piaceva far vibrare. Burleigh lo trovammo facendo le audizioni in cerca di un batterista tramite un'agenzia di contatti musicali di Los Angeles. Per noi era chiaramente il ragazzo più originale, creativo e simpatico.

F.F.: Come mai la scelta è ricaduta sul nome Ambrosia?

D.P.: Originariamente ci chiamavamo Ambergris Mite. Poi un'altra band se ne uscì con un album chiamato Ambergris, così aprimmo il dizionario, guardammo alla prima parola dopo "ambergris" ed era "ambrosia"... ci piaceva il significato - il nettare degli Dei.

F.F.: Seppur così vari ed eterogenei, Ambrosia e Somewhere I've Never Travelled possiedono una forza unitaria non indifferente che lega i vari brani ...in qualche modo possiamo parlare di concept album?

D.P.: Sì. Sono certamente concept album, specialmente Somewhere... Il primo album fu come realizzare il nostro Sgt. Peppers. Fu come il Decathlon Olimpico. Ma quando Alan Parsons arrivò per mixarlo, capimmo che era veramente qualcosa di magico. La chiave del concept è la musica, che quando chiudi gli occhi ti porta da qualche parte. Per prima cosa grandi canzoni... poi grandi interpretazioni, arrangiamenti avventurosi senza che diventino pretenziosi... prendemmo i nostri spunti dai Beatles, Pink Floyd, Paul Simon, Yes e Leonard Bernstein... per nominarne alcuni.

F.F.: Ascoltando brani quali The Brunt non si può non restare affascinati dai notevoli effetti sonori. Ho la sensazione che non si tratti di effetti provenienti dalle cosiddette librerie musicali, bensì che siano realizzati con veri strumenti, frutto della vostra grande creatività...

D.P.: Infatti dovemmo registrare noi stessi gran parte di quegli effetti. C'è un mago dell'audio chiamato Keith Johnson che effettuò registrazioni d'alta qualità. Inventò anche il primo sistema di registrazione a tre tracce, e per molti anni è stato consigliere audio sia per gli Ambrosia che per Alan Parsons. Per certe parti di The Brunt Burleigh portò Keith all'UCLA (University of California Los Angeles) per effettuare registrazioni in esterno ad alta qualità di veri ensemble di percussioni africane. Per altre, Alan ed io effettuammo enormi collage creando combinazioni sonore insolite: uccelli, orchestra d'archi e slot machines di Las Vegas.

F.F.: Siete partiti da un musica ricca di influenze e sperimentazione, con la quale avete potuto dare libero sfogo alle vostre fantasie sonore, ma dopo i primi due album sembra abbiate perso i connotati che avevano fatto degli Ambrosia una band di rock progressivo, per accostarvi sempre più al rock & roll e al pop. Questo cambiamento quanto è dovuto alle pressioni del nuovo contratto con la Warner Brothers e quanto è stata una scelta artistica?

D.P.: Penso che i primi due album tirarono fuori moltissimo da noi... il nostro tastierista ebbe un esaurimento durante le lavorazioni per il nostro primo album con la Warner Bros., il nostro terzo LP, così diventammo un trio. Questo certamente fece soffrire la band. Penso, comunque, che eravamo veramente bisognosi di dimostrare che potevamo, come i Beatles, scrivere successi senza tempo... dal terzo LP venne estratto il nostro primo successo pop che raggiunse la prima posizione, e finalmente diventammo un nome di richiamo... quella canzone, How Much I Feel, ha vinto il premio della BMI (Broadcast Music Inc.) per essere stata trasmessa 2 milioni di volte in America. Non l'ottenemmo di proposito smettendo di fare musica progressive, semplicemente lavorammo sulle migliori canzoni che avevamo all'epoca... Life Beyond L.A., tratta dall'album omonimo, è stata tra le preferite numero uno delle emittenti FM Radio College, così abbiamo avuto buona fortuna su entrambi i lati.

F.F.: Quindi è a causa di un esaurimento nervoso che in Life Beyond L.A. Christopher North appare soltanto in due brani. Ed anche se col successivo album ritorna a collaborare più assiduamente, sembra essersi ormai parzialmente distaccato dalla band, a tal punto che è l'unico a non apparire fotografato in copertina...

D.P.: Si ritirò realmente, chiese di lasciare il gruppo a causa di seri problemi fisici e mentali. Fu un periodo davvero spaventoso... Alan Parsons era arrivato in America per iniziare l'album e Christopher se ne era andato nascondendosi... non riuscivano più a trovarlo. Tutto ciò che trovammo fu un biglietto d'addio e tememmo che avrebbe potuto suicidarsi. Non abbiamo avuto altra scelta se non quella di andare avanti come trio.

F.F.: Vuoi dire che anche il vostro terzo album avrebbe dovuto essere prodotto e registrato da Parsons?

D.P.: No. I problemi di Chris si manifestarono all'inizio di Somewhere I've Never Travelled, non di Life Beyond L.A. ...Alan era arrivato per iniziare Somewhere quando cominciarono i problemi. Dovemmo fare un sacco di lavoro attorniati dalle "tempeste psichiche" di Chris. Le sue condizioni erano ancora così tediose anche un anno dopo, così quando la Warner Bros. ci rilevò dalla 20th Century Records decidemmo che era più prudente diventare un trio. Specialmente da quando Chris divenne insicuro di poter sopportare le pressioni. Ebbe un lungo processo di guarigione, così iniziammo Life come trio, con Chris che arrivava occasionalmente...

F.F.: Trovo sia curioso che proprio Life Beyond L.A. segni il massimo momento di influenza jazzistica degli Ambrosia, dato che proprio North era fortemente legato al jazz...

D.P.: Beh, come ho detto, scrivevamo ciò che scrivevamo. Quello era il meglio che potevamo fare all'epoca. E lavorare con Joe Sample su Apothecary è stato certamente uno dei punti forti. Ma non direi che Chris fosse "jazzistico", in realtà era Burleigh il jazzista del gruppo.

F.F.: Quando penso al lato più innovativo e, a mio avviso, riuscito degli Ambrosia non posso fare a meno di riferirmi a brani quali Mama Frog, Cowboy Star o Danse With Me George. E' difficile mettere a confronto brani così originali con quelli che vi hanno portato al maggior successo commerciale. Come vedi questo contrasto?

D.P.: Sono d'accordo. Io scrissi o co-scrissi tutte quelle canzoni, così sono tutti miei frutti e le amo allo stesso modo! Tutte erano presenti nella nostra immaginazione. Era nostra speranza che i fan ci avrebbero seguito su ogni sentiero se fossero stati veri fan. In ogni caso era tutta più o meno grande musica sia che fosse progressive o semplice. Quello fu l'unico criterio. Non ci sedemmo mai dicendo consapevolmente "scriviamo una canzone progressive"... accadeva semplicemente ciò che accadeva... proprio come un pittore che parte da una tela bianca.

F.F.: E' strano come gli Ambrosia non abbiamo mai raggiunto il successo in Europa, quando il loro sound pare prettamente di stampo inglese...

D.P.: Beh, direi che il motivo è da ricercare nel fatto che non abbiamo mai fatto concerti in Europa anche se morivamo dalla voglia di farlo. Il nostro management era debole in quel territorio... avremmo dovuto assolutamente girare l'Europa e penso che avremmo sfondato. Supplicammo il nostro manager, ma non aveva la capacità di far sì che ciò accadesse, o l'accortezza. Per tutta la carriera abbiamo sofferto di un povero management.

F.F.: Ma nonostante ciò, ben presto avete iniziato ad essere chiamati come guest musician su album di importanti artisti inglesi. Uno dei primi è stato Alan Parsons, che nel '76 vi ha voluti sul suo Tales Of Mystery And Imagination...

D.P.: Beh, noi avevamo aiutato Alan ad avere il suo primo contratto discografico. Chiedendogli di mixare il nostro primo album (il suo primo progetto americano) gli avevamo fatto conoscere Russ Regan, presidente della 20th Century Fox. In seguito lui usò quell'aggancio per dare inizio all'Alan Parsons Project... poi ci chiese di dare foggia alla primissima traccia del Project: The Raven, per il progetto su Edgar Allan Poe. Mi chiese anche di cantare su Year Of The Cat di Al Stewart... diventammo grandi amici e, per così dire, di famiglia. Siamo ancora ottimi amici.

F.F.: Road Island si chiude con la bellissima e profetica Endings. Sembra quasi che tu fossi conscio che quello sarebbe stato l'ultimo album degli Ambrosia, e sembri anche profetizzare la vostra futura rinascita...

D.P.: Beh, è una delle mie canzoni preferite che io abbia mai scritto... grazie mille. Credo che io stessi percependo che la vita era prossima al cambiamento... e che avremmo dovuto accettarlo, perciò ho scritto il verso: "endings are only places where all things begin"... anche se si trattasse del viaggio verso la vita eterna. Tuttavia non stavo pensando allo scioglimento o alla riunione...

F.F.: Dopo un lungo periodo di silenzio gli Ambrosia si sono riuniti, col principale intento di suonare dal vivo. Ed ora che i progetti si fanno più interessanti, con la decisione di realizzare presto un nuovo album, sappiamo del tuo allontanamento dai vecchi amici. Puoi cercare di chiarire ciò che è accaduto recentemente e qual'è la tua attuale posizione all'interno della band?

D.P.: A questa domanda risponderei... parla col mio avvocato. Penso che i fan, i promoter ed io stesso siamo stati trattati in modo incredibilmente irrispettoso... Se tu sapessi l'intera storia sono sicuro che saresti d'accordo coi miei sostenitori e consiglieri nell'industria musicale, e forse col mio avvocato. Ho smesso di fare concerti come protesta.

F.F.: Esistono dei vecchi brani inediti della band che potrebbero venire alla luce in futuro?

D.P.: Non ho idea. Al momento sono coinvolto in una disputa legale contro il gruppo, quindi ritengo che non dovrei fare commenti.

F.F.: Venendo alla tua carriera solista, quali sono le esperienze che ritieni siano state più importanti? Hai svolto un instancabile lavoro di produzione per moltissimi artisti...

D.P.: Non posso elencarle tutte. Ringrazio Quincy Jones per aver dato inizio alla mia carriera di produttore. Fu lui a suggerirmi di iniziare a produrre e mi offrì la mia prima produzione per suo conto: Patti Austin. Infine, produrre il mio tributo all'amico e mentore Leonard Bernstein, The Songs of West Side Story, è uno dei veri apici della mia carriera. Con 27 tra le maggiori star al mondo, chiunque da Aretha Franklin a Phil Collins, da Chick Corea all'ultima registrazione di Selena... realizzato in oltre un anno... è una della cose di cui sono più fiero... la pressione di ri-arrangiare i gioielli della storia del teatro americano... cercare di soddisfare i diritti degli originali compositori, l'organizzazione del Grammy, gli stessi artisti, i manager, le pratiche per le case discografiche... mi uccise quasi. Ma il risultato ne valse la pena.
Lavorare adesso con artisti che vanno da Wynonna Judd a Kenny Loggins, da CeCe Winans a Faith Hill... è stato un onore e un'ispirazione. E non smetto mai di imparare! Nelle ultime tre settimane ho lavorato con Steve Perry, ex membro dei Journey... è una persona ed un artista fantastico, ed un ottimo amico.
Comunque, comporre è ancora la mia attività preferita!

F.F.: Quindi ti senti più compositore, piuttosto che produttore o esecutore...

D.P.: Innanzitutto mi sento veramente fortunato, e provo ad usare i doni che Dio mi ha dato nel miglior modo possibile. Per prima cosa sono cantante e compositore. Per me tutto comincia con la creazione di nuova musica. Per me in musica è la fonte di tutto.
Faccio questo mestiere perché ho una profonda necessità di creare ed esprimermi. Ed anche perché ho attentamente studiato con amore l'arte di scrivere canzoni e comporre musica seria ... inoltre orchestro ed arrangio musica.

F.F.: Come risposero critica e pubblico ad Anywhere You Go, il tuo primo album solista? Fosti soddisfatto?

D.P.: Le recensioni furono terrificanti. Il momento scelto per la pubblicazione non fu il migliore. A volte la scelta del momento è tutto, al di là di quanto il prodotto possa essere buono. Fui danneggiato dal fatto che il primo singolo estratto fosse proprio la canzone che venne aggiunta all'ultimo minuto: Prove Me Wrong, tratta dalla colonna sonora del film White Nights. E' un "brano da ballare" che composi per Barishnikov e Hines, non una canzona da successo... Io lo sapevo, ma la Warner Bros. no. Finì per rovinare il giudizio su tutto il CD, per il quale avevo speso un anno di attento lavoro. Comunque, per quanto riguarda l'album ne sono ancora contento. I Just Can't Let Go, il brano per trio costituito da James Ingram, Michael McDonald ed io suona ancora fresco secondo me.

F.F.: Quali i tuoi progetti attuali? So che la pubblicazione di Working With The Light, il tuo nuovo album solista, è stata posticipata...

D.P.: Ci sono troppe cose in corso per poter essere scritte in queste righe! Ho appena scritto nuova musica con un artista molto famoso, il cui nome deve restare segreto finché non decideremo che il mondo debba ascoltarne i risultati... la sua voce è una delle più famose al mondo, è un personaggio famosissimo. Ritengo che le nuove canzoni siano davvero favolose. In aggiunta lavoro dalle 8 alle 10 ore al giorno al quartier generale della Mpowered Ideas, la mia nuova compagnia in campo media. E' incredibile quante cose stiamo sviluppando. Sto per partire per il Giappone per andare in tour con Alan Parsons, Todd Rundgren, Ann Wilson degli Heart e John Entwistle degli Who per un tributo ai Beatles che si terrà a metà Novembre... e questo è solo l'inizio!

F.F.: Nel 1993 ti abbiamo visto nuovamente al fianco di Parsons per l'album Try Anything Once, in un ruolo decisamente importante. Ora che anche Alan vive in California e, seppure in maniera amichevole, si è allontanato dai consueti compagni Ian Bairnson e Stuart Elliott, saresti interessato ad un nuovo progetto con lui?

D.P.: Alan ed io siamo ottimi amici. Abbiamo suonato tutta l'estate assieme nella band per Walk Down Abbey Road, il tributo ai Beatles a cui accennavo prima. Scriveremo sicuramente nuova musica assieme ed abbiamo discusso molte idee. Lui ha anche mixato una delle canzoni più "progressive" del mio nuovo CD...

F.F.: Prima di lasciarti andare, ancora una domanda. Banale, ma inevitabile: cosa vuoi dire ai tuoi fan italiani? Qualche possibilità di vederti da queste parti?

D.P.: Viva! Dio benedica gli italiani... le più passionali, amorevoli, espressive, artistiche persone al mondo. Vi ringrazio dal profondo del mio cuore per il vostro sostegno.
Volerei da voi in un batter d'occhio per suonare ogni volta! Leonard Bernstein mi insegnò molto a riguardo della musica in Italia. Era il suo luogo preferito per le vacanze e ci trascorse i più bei giorni della sua vita... ed era un'espressione italiana quella con la quale era solito appellarmi nelle prime delle molte lettere che mi scrisse, storpiava il mio nome in "Packissimo"!

--NOVEMBRE 2001--



Un ringraziamento particolare a David Pack e Russell Wiener, suo assistente personale, per l'estrema disponibilità e cordialità.


Il sito ufficiale di David è raggiungibile all'indirizzo: http://www.davidpack.com

 

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